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1906, 1933, Africa, Asia, Commissario liquidatore, Farnesina, Frattini Franco, Gentile Giovanni, IIA, IsIAO, IsMEO, Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente, Istituto Italo-africano, Monti Mario, Tremonti Giulio, Tucci Giuseppe
Siamo alle solite. Se la politica, senza la P maiuscola, ha scelto di impossessarsi di un bene pubblico, perché lo ritiene funzionale ai suoi reconditi disegni, non si arresta di fronte ad alcun ostacolo. Va dritta per la sua strada, a dispetto del più che evidente risultato di commettere in tal modo un vergognoso abuso. Il fine di questo breve e secco incipit è quello di denunciare l’attacco dei vertici ministeriali degli esteri e delle finanze all’IsIAO, l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente che unisce in un corpo solo l’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente), fondato da Giovanni Gentile e Giuseppe Tucci nel 1933, e l’IIA (Istituto Italo-africano) fondato nel 1906, che da un paio di mesi è stato commissariato con l’incarico ad un ambasciatore in pensione di farlo sparire, applicando la forma burocratica di liquidazione coatta amministrativa. Perché Frattini e Tremonti si sono macchiati di un oltraggio così grande alla cultura italiana, provocando lo sdegno del mondo accademico internazionale? Che peccati ha commesso questo storico istituto per meritare una simile fine ingloriosa? A leggere il documento partorito dalle menti della Farnesina e di via XX Settembre è colpa della cattiva gestione praticata dal management dell’ente che ha accumulato negli anni un deficit di bilancio di oltre tre milioni di euro. Forse a causa dell’appetito degli amministratori di fronte ad un gruzzolo di denaro pubblico passato negli ultimi quindici anni da tre milioni di euro a 800 mila. E no! Con 32 euri lordi a riunione di consiglio per i membri del Consiglio di Amministrazione e con un appannaggio per il Presidente, che povero lui è considerato tra i maggiori iranisti viventi, di appena 700 euri lordi al mese, c’era poco da scialare. E allora a quale politica di intrallazzi addebitare il forte ammanco? Forse è stato gonfiato il numero degli impiegati aprendo le porte dell’Istituto a parenti e amici: macché! Da un organico di 32 unità all’atto di nascita dell’ente ora ce ne sono solo 18. E allora come spiegare il deficit?
Non restava agli strateghi della Farnesina che invocare il mancato rispetto dell’obbligo impartito all’Istituto di adeguare le spese al volume del contributo pubblico assegnato ad esso. Ma che arguta e geniale conclusione! Se la somma versata all’Istituto non bastava nemmeno a pagare lo stipendio ai suoi dipendenti, problema questo che toccava ai suoi amministratori risolvere. Magari mettendone in mobilità una parte consistente. E le altre spese? L’affitto dei locali di proprietà di Roma Capitale, la luce, il telefono, la pulizia dei locali, la sorveglianza dei beni custoditi (una Biblioteca di oltre 200.000 volumi e una pinacoteca e cartoteca di assoluto pregio), l’assistenza ai componenti delle missioni archeologiche operanti in molte aree dell’Asia e dell’Africa, l’organizzazione di seminari e convegni a cui l’Istituto è tenuto dai suoi compiti stabiliti dalla legge, la garanzia agli allievi del buon esito, a dispetto dei costi per la verità assai modesti di docenti e strutture ricettive, dei corsi di insegnamento di varie lingue asiatiche e africane a Milano, Ravenna e Roma, la produzione e la conservazione di testi scientifici e collane divulgative riguardanti la storia, la cultura, le religioni dei paesi di questi due continenti e last but not least gli interessi da pagare alla banca cassiera per effetto del ritardo di mesi, per lo più otto, con cui l’Istituto riceveva il contributo dello Stato. Risparmiare, il motto in voga alle pendici di Montemario. E per dare il buon esempio hanno nominato un Commissario liquidatore che alla fine dei conti intascherà una discreta quantità di euri, quanto probabilmente sarebbe bastato per pagare un paio di mensilità al personale dell’Istituto che da otto mesi non riceve più lo stipendio, pur facendo parte della pubblica amministrazione. Complimenti dunque a Frattini, Tremonti e alla corte di tirapiedi che li affianca, molti dei quali seduti su poltrone riccamente retribuite. E se l’Italia perde un gioiello del sapere tanto peggio per chi ha lavorato una vita per valorizzarlo. Che cosa loro vogliono farsene resta per ora un mistero. Ma prima o poi saranno costretti a svelarlo. Sarebbe assolutamente apprezzabile se il governo del professor Monti accorciasse questi tempi.
Il Marchese di san Severo