Il denaro, è noto, può essere usato a favore o contro qualcuno. Può dare o prendere, salvare o distruggere. Lo si può impiegare in modo da determinare l’evoluzione di una situazione a proprio o altrui vantaggio. Quando si tratta dello Stato, non dovrebbe esservi dubbio sul suo positivo utilizzo. Lo Stato, nel sereno ed equanime svolgimento della sua pubblica funzione, dovrebbe rispettare le leggi emanate. Dovrebbe farlo perfino uno Stato convertitosi alle leggi di mercato, pena il crepuscolo di ogni certezza. Un ente pubblico è una emanazione dello Stato, che ha giudicato essenziale la sua missione e ne chiede l’assolvimento. Questo non consiste, come per un’impresa privata, nella produzione di profitti, ma in primo luogo nel rispetto della legge costitutiva. Se poi l’ente è tanto virtuoso da produrre perfino qualche ricavo dalle attività che la legge gli impone, allora lo Stato lo incoraggia a intensificare il suo sforzo, ché non solo si rivela socialmente utile, ma in toto o in parte perfino autoremunerativo.
Non è quello che è avvenuto con l’IsIAO. Il suo ente vigilante, che dovrebbe vigilare per conto dello Stato, soprattutto a che siano espletate le funzioni prescritte dalla legge, comincia a considerarlo come uno dei tanti enti privati compresi nel capitolo nel quale lo ha sprovvedutamente (?) incluso e, anche a vantaggio di questi ultimi, prende a diminuirgli progressivamente il contributo annuale, complice l’incalzare della crisi. Ma non gli dice: “non ti preoccupare, provvederò io ad aiutarti nel rendere più snella la struttura, perché so bene di non poter esigere tagli ed economie che pregiudicherebbero la tua stessa identità; so bene che non posso pretendere il pareggio di bilancio, dal momento che gran parte di esso è destinata alle spese del personale e di funzionamento”. No, non glielo dice; fa invece capire che gradirebbe il cambio della presidenza, forse anche una nuova direzione generale, più vicina alla sua sensibilità vigilante. Li ottiene, ma non basta, adesso pretende, malgrado i tagli spaventosi, un ennesimo piano di rientro: ottiene anche questo, ma finge di non averlo ricevuto. Pretende che la banca cassiera, alla quale l’ente paga da anni consistenti interessi annuali per il ritardo sistematico del contributo, paghi lei quello che lui non vuole pagare. Si chieda alla banca che cosa pensa di questo stile, invece di accusare l’ente di aver perso il credito. Non pago di ciò, con sospetta puntualità, il supremo Vigilante invia ispettori per censurare quello che per la Corte dei Conti era un buon risultato. Poi stabilisce un contributo insufficiente perfino per pagare gli stipendi ai dipendenti, e infine neppure lo eroga. E come risolve l’incresciosa situazione questo Vigilante tanto attento e solerte? Inviando un Commissario liquidatore, vero deus ex machina, che allo stipendio degli altri, suprema beffa, aggiunge anche il suo: naturalmente adeguato a cotanto compito and this doesn’t hold water.
Il Fantasma di Ghino